Uber si fonde con il competitor Didi Chuxing in Cina

Uber si fonde con il competitor cinese Didi Chuxing. L’azienda che fornisce un servizio di trasporto automobilistico privato attraverso un’applicazione software mobile era al primo posto nel mercato cinese in quanto a numero totale di corse effettuate, nonostante la concorrenza da parte dei competitor locali. Per il co-fondatore di Uber, Travis Kalanick, la Cina ha da sempre rappresentato un progetto personale da realizzare, sostenuto da investimenti da miliardi di dollari.
Ma Uber – con sede a San Francisco – ha dovuto alzare bandiera bianca. Prosperare in Cina è un’impresa veramente ardua per le compagnie tecnologiche americane e Uber China ha comunicato la vendita al proprio rivale più feroce, Didi Chuxing, cedendogli il brand, il mercato e tutti i dati dell’applicazione. Per Uber non si tratta di una catastrofe, anzi: a fronte di investimenti per 2 miliardi di dollari ne ottiene 7 in azioni della compagnia diventando così l’azionista di maggioranza.

Kalanick racconta “Ho visitato la Cina per la prima volta circa tre anni fa, volevo sondare il terreno e capire quali possibilità avesse Uber, ma quasi tutti mi hanno preso per pazzo, per ingenuo, talvolta persino per entrambe le cose. Essere imprenditore ti insegna che per avere successo devi inseguire ciò che ti dice il cuore, ma anche quello che ti dice la mente. Uber e Didi Chuxing stanno investendo miliardi di dollari ed entrambe le compagnie devono ricavarne un profitto”.
Questo accordo, dal valore di 35 miliardi di dollari, mette fine alla disputa delle corse a chiamata in China. E ci sono voci che lasciano intendere che siano stati gli stessi investitori di Uber a forzare verso questa transazione. La guerra in nome di quote di mercato sempre più nutrite è durata circa due anni, costando decine di milioni di dollari nel reclutamento di nuovi autisti e passeggeri. L’accordo però sancisce la disfatta delle ambizioni di Uber per avere la meglio sui rivali locali cinesi nel loro enorme mercato interno.

 

Uber ha cercato coraggiosamente di farsi largo in un mercato all’interno del quale le compagnie americane, difficilmente, trovano spazio e terreno fertile per le proprie attività, spesso contrastate da politiche statali protezioniste che contrastano gli investitori stranieri per mezzo di concorrenti locali finanziati dal Governo Comunista Cinese.
Prima di Uber avevano già provato ad avviare progetti commerciali in Cina Google, messo a durissima prova dai cyber attacchi finanziati da enti governativi, ma anche Ebay che ha dovuto cedere il passo ad Alibaba.
Con la sua crescita in territorio cinese, Uber è stata in grado di evitare molti degli errori compiuti da altre compagnie tecnologiche americane. Ha creato piccoli team locali, con basi in città diverse, permettendo risposte in tempi rapidi e flessibilità. Altre società hanno preteso di entrare nel mercato cinese con una gestione logistica di ogni operazione in via telematica dagli Usa, rallentando risposte e servizi.

Entrare nel mercato cinese è il primo degli ostacoli, ma Kalanick ha saputo essere d’aiuto alla causa di Uber, attraverso la sua minuziosa azione diplomatica. Incontri frequenti, un linguaggio consono ai dirigenti del Partito, conoscenza dell’ambiente in cui cercava di insediarsi, tutto questo ha risparmiato numerose trappole burocratiche da cui solo in pochi possono vantarsi di essersi liberati con successo.
Il boicottaggio è stato spietato: autisti che simulavano chiamate per ottenere le commissioni, corse mai avvenute, blocco su WeChat – il più grande social cinese.

Sebbene il legame tra Uber e Didi volga a rassicurare gli investitori, gli analisti cinesi credono che ci sarà una diminuzione delle commissioni e ciò potrebbe colpire sia i consumatori che gli autisti, intralciando la competitività di chi svolge attività su scala ridotta. E la lealtà degli autisti indipendenti verrà destinata a chi offrirà la migliore retribuzione.

 


Uber si fonde con il competitor Didi Chuxing in Cina - Ultima modifica: 2016-08-03T07:18:53+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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