Ho deciso di parlare di moda sostenibile, di vestiti e guardaroba, di guardaroba consapevole . Partiamo dallo stereotipo donna-moda per raccontare una cosa semplice. Che donne protagoniste dell’innovazione, applicata ai temi verdi, lo si può essere tutti i giorni. E che le scelte quotidiane, di acquisto e di comportamento, sono quelle che fanno la differenza.
A cominciare dai piccoli gesti che renderanno il mondo più consapevole e la moda sostenibile. A partire dal dal proprio guardaroba.
La moda sostenibile, consapevole, etica inizia dal nostro guardaroba
di Antonella Tagliabue
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Sì, è vero. Nel corso degli ultimi anni la moda etica, la moda sostenibile e consapevole, ha spesso avuto sembianze bizzarre; ci ha raccontato di cose strane ed eccentriche e iniziative da red carpet che diventa verde, in occasione degli Oscar o delle sfilate internazionali così irraggiungibili.
Ma se pensiamo a quanto è stato fatto recentemente a proposito di cibo consapevole – sia in termini di stili e scelte di vita che di rispetto per il pianeta – forse i tempi sono maturi anche per pensare al nostro outfit. Consapevoli dentro e fuori. Con l’aiuto di Lucy Siegle, giornalista del Guardian, che ha raccolto i dieci trend che ci aiuteranno nel passare a una moda sostenibile e consapevole, nei prossimi anni.
Basta cotone nella moda sostenibile, la sua coltivazione richiede troppi pesticidi. Via libera alle fibre preziose, ma ricavate dagli scarti, come la seta di banana, prodotta con i gambi e le piante. Oppure la “pelle” ottenuta dalle foglie di ananas di scarto. Molto meno costosa per l’ambiente e anche per il portafoglio. Forse non brucerà i grassi, ma la pelle di ananas sarà disponibile alla metà del costo di quella di mucca tradizionale.
Nel 2020 Modern Meadow commercializzerà una “pelle senza pelle”, ottenuta grazie alla produzione di collagene pressato in fogli ottenuti da zucchero e lievito. Bolt Threads sta invece sperimentando la produzione di seta dalle cellule di lievito.
Molti marchi, soprattutto nell’abbigliamento per bambini, stanno già eliminando i coloranti tossici e chimici. In futuro avremo abiti colorati da pigmenti dalle piante, dalla melassa zuccherata e dai microrganismi, per eliminare metalli pesanti, acidi e solventi. Una tavolozza di colori, non solo verde opaco e il tradizionale color porridge tipico degli abiti etici, che consumeranno un decimo dell’acqua della tintura convenzionale.
Gli abiti ottenuti con fibre sintetiche rilasciano microfibre inquinanti. Alcuni Stati stanno valutando di introdurre l’obbligo di lavare a mano quelli contenenti il 50% di poliestere.
Cotone biologico e lana, tessuti naturali, diverranno i capi più preziosi.
Nuovi brevetti consentono già oggi di ottenere seta idrorepellente o resistente all’acqua, anche per la realizzazione di abbigliamento sportivo e tecnico.
Alla cerimonia di apertura delle paraolimpiadi di Rio, Amy Purdy, che ha potuto danzare grazie al supporto di un robot, indossava un modello realizzato da Danit Peleg in 3D. Quindi nel prossimo futuro ci basterà fare una scansione del corpo e poi acquistare il file dell’abito, del modello e colore preferito. Da stampare a casa o in un negozio di fiducia.
La maggior parte degli abiti del nostro guardaroba giace abbandonata negli armadi. Numerosi marchi consentono di restituire i capi pre-indossati o semplicemente comprati, in cambio di credito per i nuovi acquisti. Si tratta di un mercato enorme, considerando che, secondo le stime, almeno il 30% della popolazione nei paesi più sviluppati butta gli abiti che non piacciono più direttamente nella pattumiera, anche se potrebbero avere un futuro.
Alla Penn State University hanno scoperto che le proteine ricavate dai calamari possono essere utilizzate per rivestire i tessuti. In caso di strappo i due lembi così trattati potrebbero essere in grado di autoripararsi. Senza cuciture, né colla, ma con l’aggiunta di acqua calda. Attualmente questa tecnologia è già applicata in medicina, ma nei prossimi anni potrebbe significare l’abbandono di ago e filo.
Secondo una ricerca condotta nel Regno Unito i sudditi di sua maestà conservano vestiti che non sono mai stati indossati per un valore di 30 miliardi di sterline. E, come è noto, gli inglesi spesso non spiccano per attenzione alla moda o per la vastità del guardaroba. E allora via ad app e servizi online per il noleggio di capi a chi ne ha voglia o bisogno. E questo potrebbe essere solo l’inizio del business del fashion sharing, in parte già conosciuto soprattutto per gli accessori, che si presta a tutte le evoluzioni che la tecnologia consente.
In conclusione, l’abito può non fare il monaco. Ma può essere innovazione e fare bene all’ambiente se la moda è sostenibile e consapevole.
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