Theranos, la startup che da star è diventata il più grande flop della Silicon Valley

Una leader giovane, una valutazione milionaria e un’idea innovativa: la startup Theranos sembrava avere tutte le carte in regola per sfondare nella Silicon Valley e per un periodo c’è riuscita. Peccato però che, come raccontato dal recente documentario The Inventor, dietro l’azienda si celasse una truffa che ha sconvolto il mondo tech californiano e non solo.

La nascita di Theranos

Il film, prodotto dal canale Hbo col titolo originale di The Inventor: Out for Blood in Silicon Valley e con la regia di Alex Gibney, continua a suscitare scalpore per la storia della protagonista Elizabeth Holmes. Nel documentario si ripercorrere la vicenda di come questa giovane studentessa, nata nel 1984 a Washington, abbia deciso nel 2004 di lasciare la prestigiosa università di Stanford per dedicarsi alla sua startup chiamata Theranos, dall’unione fra le parole “therapy” e “diagnosis” ovvero terapia e diagnosi. L’idea alla base prometteva di compiere centinaia di analisi mediche in pochi minuti partendo da una semplice goccia di sangue presa dal pollice di un paziente: una vera e propria rivoluzione per la salute dato che ancora oggi le analisi del sangue richiedono tempo e macchinari complessi.

L’ascesa di Theranos

Nonostante lo scetticismo di alcuni scienziati, che non reputavano realizzabile il sogno di Holmes, l’ex studentessa ottenne ben 6 milioni di dollari in investimenti solo nel primo anno, diventati 92 nel 2011. In più, l’aurea di mistero intorno all’azienda e alla sua fondatrice (Theranos non aveva un sito internet fino al 2013 e non rilasciava comunicati stampa) contribuì ad aumentare la fama di entrambi. Le poche apparizioni in pubblico di Holmes erano trattate come un evento importante: la donna si vestiva sempre con abiti scuri e parlava con un tono di voce quasi robotico, imitando, secondo le sue stesse parole, i metodi di Steve Jobs. La dedizione di Holmes per la sua ditta e la voglia di migliorare la salute del genere umano diagnosticando con largo anticipo le malattie più comuni la fecero diventare un esempio per milioni di giovani donne in tutto il mondo. Copertine su Forbes e profili sul New York Times fecero il resto, mentre Theranos stringeva un accordo con il colosso delle farmacie americane Walgreens per portare il suo speciale “lettore” in migliaia di negozi negli Usa.

Theranos: la caduta

Tutto cominciò a crollare dopo che un articolo del Wall Street Journal riuscì ad avere più informazioni su Theranos. Il giornalista scoprì che il macchinario, chiamato Edison da Holmes in onore dell’inventore americano, non era in grado di svolgere i più di cento esami del sangue promessi: ne faceva solo pochi senza essere certo della presenza di malattie più semplici da identificare come le epatiti. Tutte le altre diagnosi promesse, da quelle per i virus a malattie più gravi, erano fatte dai dipendenti di Theranos grazie a macchinari comuni in uso negli ospedali. Nonostante l’articolo, cui ne seguirono molti altri sulla stessa lunghezza d’onda, Holmes andò avanti a fare promesse e a promuovere Theranos, fermandosi solo quando l’Fbi ha iniziato ad indagare costringendola poi a sospendere le attività e ritirando i pochi macchinari che erano effettivamente arrivati in alcuni Walgreens dell’Arizona.
Il motto della Silicon Valley “Fake it till you make it” ovvero “fingi finchè non raggiungi l’obiettivo” era il mantra di Holmes, ma a differenza di altri lei non è riuscita a portarlo a termine o forse non le è stato concesso abbastanza tempo. Sarà in grado l’ambizioso e competitivo mondo tech di imparare qualcosa dalla storia di Theranos?

A cura di Andrea Indiano


Theranos, la startup che da star è diventata il più grande flop della Silicon Valley - Ultima modifica: 2019-04-18T07:07:41+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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