Sperimentazioni di editoria e nuovo giornalismo attraverso le tecnologie, inediti modelli di marketing. Se ne è parlato al Digital Marketing World Forum, a New York.
*di Clara Ramazzotti, corrispondente da New York
Un tempo erano i giornali che fornivano informazioni a tutti noi. Oggi molti di loro si considerano prima di tutto digital media companies, aziende il cui obiettivo è trasformare il rapporto lettore/giornalista e lettore/news, per arrivare primi contro le bufale ed educare alla qualità. Non si può più parlare solo di carta stampata, si pensa a un nuovo modo di fornire informazioni anche su canali meno convenzionali, come permetterebbero Alexa (Amazon) e gli altri voice paths sul mercato, o tramite social network storicamente legati al pubblico più giovane. Son ole frontiere del nuovo giornalismo
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“Dobbiamo essere sicuri di trasmettere informazioni sulle piattaforme che le generazioni future useranno, non aspettiamo che siano loro a cercarci, andiamo noi a giocare sul loro terreno” spiega Bryan Davis, Senior Manager del The New York Times, che ha proposto di aprire un account Snapchat del quotidiano pochi mesi fa.
La missione è presidiare tutti i canali esistenti per arrivare alle diverse fasce d’età di lettori, l’opposto di ciò che un Digital Strategist consiglierebbe a un brand. Chiedo a Davis che obiettivo hanno: “Abbiamo notato che grazie a Snapchat raggiungiamo maggiormente il pubblico femminile, quindi ci servirà a capire quali sono i nuovi target del New York Times e agire di conseguenza fornendo notizie utili anche a loro”. Un modo per mantenere la connessione one-to-one con l’audience, andando oltre le notifiche push.
Però “bisogna fare i conti con i veri key leaders del marketing: gli influencer, quel genere di persone che pur non conoscendole direttamente, ti danno la sensazione di essere degli amici a cui ti affidi” sostiene Pamela Kaupinen, Executive Director per GQ.
Nella sua qualifica si legge anche “Talent Development”, è lei la persona che scova potenziali ambassador e instagramer per suggerirli ai fashion brand. Così, dal 2012, GQ si è evoluto da magazine maschile a modello di scouting grazie al progetto “GQ Insider”. “Secondo i nostri studi sull’audience, il 92% dei consumer [i lettori della rivista, ndr] comprano da chi non conoscono” conferma Kaupinen.
Non è una novità per i brand che la collaborazione con un influencer possa aumentare i profitti, ed è per questo che, forse, sono più lungimiranti scelte disruptive come quelle di MarieClaire che, grazie alla giovanissima Senior Editor, Rosa Heyman, ha prodotto ottimi esempi di nuovo giornalismo digitale e anticonvenzionale.
“Women and Guns” è una ricerca in collaborazione con l’università di Harvard per capire cosa ne pensano le donne, da Hillary Clinton a Carly Fiorina, a proposito di armi, in un dibattito dominato da voci esclusivamente maschili. Ed è soprattutto un articolo longform sulla versione digitale del magazine, prima dominato da consigli fashion e tendenze dalle passerelle, che permette un salto in avanti per la brand awareness della rivista.
“Ero davvero stufa dell’idea di magazine femminili banali, così ho sfruttato il mio background [una tesi in Women and Gender Studies, ndr] per combattere gli stereotipi più comuni e abusati” spiega Rosa Heyman e aggiunge la sua a proposito della cosidetta “morte del piano editoriale“: “Scrivere un copy sui social è sempre una buona mossa, ma non si ha lo stesso spazio e tempo per sviluppare un’idea davvero creativa, come puoi fare su un sito web. La sfida attuale non è il copy clickbait per ottenere numeri, ma è la capacità di trovare le parti più interessanti di una storia e comunicarle”.
Eppure si può fare un passo ancora più strategico: “Noi forniamo news per i professionisti, oltre 2.500 giornalisti e 500 fotoreporter da tutto il mondo. Siamo a tutti gli effetti una b2b agency” mi spiega Pierpaolo Maniglio, Sr Manager, Strategic Partnerships & Social Media per Reuters.
“Per noi è diventata indispensabile l’AI: con questa tecnologia abbiamo copertura 24/7 e una Smart Publishing Automation. Abbiamo scelto di integrare l’AI in un lavoro redazionale, così da curarlo al 100% e coprire il maggior numero di eventi” e mi rassicura che “non è l’AI a scrivere contenuti, ma rielabora articoli e li trasmette negli orari più adatti, all’audience più coinvolta, ecc. Abbiamo fatto diversi tentativi per arrivare alla situazione attuale, non esiste una formula magica”.
Chi più e chi meno, tutti lavorano verso nuovi modelli di marketing. Occhio però a non dimenticare che i primi a non avere il controllo delle fake news sembrerebbero proprio i social network.
Nuovo Giornalismo al Digital Marketing Wold Forum di New York
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