È considerato tra i massimi esperti nel business della moda. Salvo Testa, professore dell’Università Bocconi con una lunga esperienza nei settori moda e design, svela in questa intervista i segreti del successo del fashion e dà qualche consiglio per il mondo della tecnologia che vuole lavorare con i grandi brand
di Francesco Marino
Tutti guardano al mondo della moda, perché è affascinante, perché è tra i settori italiani che funzionano meglio, perché ha grande successo all’estero, perché rappresenta il nostro Paese nel Mondo. Ma cosa ha di speciale il fashion? E come può la tecnologia essere d’aiuto a questo grande comparto? Lo abbiamo chiesto ad uno dei massimi esperti del settore: Salvo Testa, docente di fashion management all’Università Bocconi e ideatore della piattaforma fashion&design di SDA Bocconi.
Perché le aziende italiane di moda hanno più successo di altre? Per il prodotto, per l’organizzazione o per la flessibilità?
In Italia, paese ormai unico al mondo, esiste una filiera completa che consente di proporre e realizzare continuamente un’innovazione di prodotto (anche se spesso si tratta solo di novità estetiche). Tale filiera è al servizio sia dei brand italiani (tanti, dai big alle numerose piccole e medie aziende familiari di nicchia), sia di quelli internazionali che vogliono posizionarsi nella fascia alta di qualità/immagine/distribuzione/prezzo.
Inoltre il sistema delle sfilate e delle fiere (Milano, Firenze) in tutte le categorie merceologiche (uomo, donna, accessori, tessuti e filati) è quello che sviluppa i numeri più elevati, specie nel segmento medio alto e alto, per cui rimane un punto di riferimento per tutti gli operatori internazionali del settore, dai fornitori fino ai buyer.
In che cosa dovrebbero migliorare per continuare a dominare la scena le imprese della moda italiana?
Molte aziende piccole e medie, con forte contenuto artigianale e di prodotto, sono ancora carenti sul piano del marketing e della capacità commerciale, specie sui mercati internazionali in forte sviluppo (Russia, Asia, Medio Oriente e Sud America). Inoltre, la stessa innovazione di prodotto rimane ancora un po’ troppo ancorata ad uno schema di “novità” (semplici variazioni estetiche di prodotti già esistenti) anziché perseguire la sfida di “vere innovazioni” (nuovi materiali, nuove funzionalità, nuovi concetti di prodotto), pur disponendo di una filiera che consentirebbe di porsi tali obiettivi.
Un’altra carenza è quella delle nuove tecnologie digitali: siamo molto indietro su questo fronte, che è uno dei pochi in cui i consumi sono in forte crescita anche in questo settore. Tutti questi elementi (marketing/commerciale, innovazione radicale di prodotto, strategie digitali) confermano la necessità di un ricambio generazionale senza cui non è possibile il ricambio culturale del settore, ovvero difendere il patrimonio storico inserendovi al contempo nuovi elementi volti a rivitalizzarlo e a potenziarlo.
Quali sono le tendenze più significative in atto nel mondo della moda italiana?
In che modo la tecnologia può essere d’aiuto a queste imprese?
Enormemente, in tutti i processi innovativi delineati (marketing, distribuzione, produzione, innovazione), anche se c’è ancora un potenziale inespresso per la strutturale ritrosia di tale settore ad accettare nuove tecnologie e innovazioni.
E viene apprezzata, capita, ben valutata?
Poco: la moda è un settore per sua cultura molto autoreferenziale, ancorato a logiche conservative, ma probabilmente le nuove generazioni potranno modificare tale limite e sfruttare al meglio le potenzialità delle nuove tecnologie.
Che cosa possono imparare le imprese di altri settori dalle aziende di moda?
Tanto, da tutti i processi e direi soprattutto da quelli che sono connessi alle tecnologie digitali che impattano meno sul “cuore produttivo del settore” (prodotto e produzione), che presumibilmente ci metterà ancora del tempo ad essere messo in discussione e modificato.
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