Il progetto segreto Dragonfly di Google nel mirino delle proteste delle organizzazioni non governative: preoccupazioni generali per i diritti umani nella possibilità di una versione di Google ideata per la Cina.
Erano i primi giorni di Agosto quando The Intercept, il sito di informazione statunitense che per primo focalizzò l’attenzione sull’importanza delle rivelazioni di Edward Snowden, rese pubblico un documento confidenziale che sembrerebbe rivelare i piani dei vertici di Mountain View per quanto riguarda il ritorno del colosso dei motori di ricerca nel territorio cinese.
“Libellula”, questo è il nome in codice del progetto che starebbe dietro al ritorno di Google in Cina, che pare stia segretamente lavorando a qualcosa che gli permetta di tornare nelle terre orientali, dopo l’abbandono nel lontano 2010 per timore di ritorsioni o ribellioni informatiche.
Una questione troppo ghiotta quella cinese per non continuare ad esistere nelle mire espansionistiche di Big G, che nonostante la brutale censura vigente per volontà del governo cinese, potrebbe presto tornare ad insediarsi in un mercato troppo ampio da essere dimenticato.
Ma come potrebbe Google, il re dei motori di ricerca online, rimettere piede in Cina bypassando il problema della censura?
Sembra che gli ingegneri di Google stiano lavorando ad un nuovo motore di ricerca che sia in grado di soddisfare le pretese dei vertici cinesi: una versione di Google modificata, censurata per impedire agli utenti di accedere ad informazioni sgradite ai poteri forti.
Un motore di ricerca a metà, dunque, che non restituirebbe alcun risultato quando utilizzato per cercare informazioni su argomenti sottoposti a censura, con una black list di parole chiave piuttosto ampia per non infrangere le regole del governo cinese.
Le prime proteste non si sono fatte attendere, e le opposizioni sono partite proprio in seno alla società di Sundar Pichai: in una lettera pubblica degli impiegati di Google, firmata da più di millequattrocento dipendenti, è stato palesato il diffuso malcontento di quanti si sono ritrovati a sviluppare il progetto senza saperlo.
Oltre a indubbie questioni etiche, infatti, i dipendenti hanno richiesto a gran voce una tavola rotonda per discutere dei progetti futuri di Google in Cina, e per essere messi a conoscenza di quanto stavano contribuendo a realizzare.
Dopo qualche settimana è arrivata anche un’altra lettera indirizzata al CEO di Google, ma questa volta firmata da alcune delle più grandi Ong che si battono per i diritti umani, capeggiati da Human Rights Watch, e tra cui compaiono Amnesty International ed Electronic Frontier Foundation.
Quattordici in totale sono le associazioni senza scopo di lucro che hanno richiesto a Google di rinunciare al progetto e tornare sui propri passi, chiedendo quali misure si stanno adottando per proteggere eventualmente gli utenti dalla censura nel caso in cui Dragonfly sia davvero un motore di ricerca su misura per la Cina.
Queste richieste si basano sull’indiscussa responsabilità di Google in materia di diritti umani, per i quali la società ha sempre dichiarato di lavorarne a vantaggio, insieme al bene della società.
Per quanto quello cinese possa essere un mercato troppo seducente agli occhi di un gigante tecnologico come Google, non si può piegare alla censura una compagnia che fa da bandiera al progresso occidentale: un matrimonio, almeno a queste condizioni, che non s’ha da fare.
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