Il quadro emerso di recente dal Digital Economy and Society Index (DESI) non è certo dei più rosei: nel complesso l’Italia si piazza al 25esimo posto tra i 28 paesi dell’UE, con un punteggio di 43,6, un valore in crescita rispetto allo scorso anno, ma non sufficiente ad evitare la perdita di due posizioni nella classifica e che ci vede 9 punti al di sotto della media europea di 52,6. Per intenderci, peggio di noi fanno solo Romania, Grecia e Bulgaria; le prime della classe, Finlandia, Svezia e Danimarca sono a oltre 25 punti di distanza.
Uno studio di Uil ed Eures ha concentrato lo sguardo in particolare su una delle macro-aree che compongono l’indice DESI, la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni, per cui l’Italia si colloca al 19esimo posto della classifica con un punteggio di 67,5 (+ 5,6 punti rispetto al 2019), sotto la media europea di 72 punti e lontana 20 punti dalle prime posizioni, occupate da Estonia, Spagna e Danimarca.
Il punto più critico per il nostro paese è il tasso di utilizzo dei servizi di e-Government: solo il 32,3% degli individui fra i 15 e i 74 anni utilizza strumenti telematici per interfacciarsi con le PA (contro la media europea del 67,3%). Un dato che ci colloca addirittura al fondo della classifica e che in parte può essere spiegato da un altro fattore per cui l’Italia non eccelle, quello della scarsa cultura informatica: secondo l’Eurostat infatti solo il 73% della popolazione adulta accede quotidianamente a internet, contro il 79% della media EU e l’oltre il 90% dei Paesi del Nord Europa. Anche il livello di coordinamento e comunicazione tra le diverse PA ci vede al di sotto della media (48,3% contro 59,4%). Più positivo invece il risultato per gli altri tre indicatori – la disponibilità dei servizi pubblici online, la percentuale di quelli per l’imprenditoria disponibili online e la quota di opendata accessibili online – per cui si registrano valori di poco superiori alla media europea.
Lo studio mette inoltre in relazione i risultati del DESI con la fotografia scattata dall’Istat rispetto alle amministrazioni locali, secondo cui, nonostante la costante crescita registrata dal 2012, nel 2018 (anno di riferimento degli ultimi dati disponibili) neanche la metà degli enti (47,8%) era in grado di offrire la possibilità di gestire online l’intero iter di almeno uno fra i 24 servizi più frequentemente erogati e quasi il 45% presentava ancora una ridotta digitalizzazione delle procedure interne.
In questi dati vanno ricercate le ragioni del forte ritardo sugli obiettivi fissati dall’Agenda Digitale per il nostro Paese, in particolare su temi come lo Spid (implementato soltanto da 4.370 enti contro un target di 10mila), PagoPA (con 70,7 milioni di transazioni registrate contro un obiettivo di 150 milioni) e il Fascicolo Sanitario Elettronico (attivato in 14 regioni su 20).
Il percorso verso la digitalizzazione dunque è ancora lungo, ma è più urgente che mai per garantire una maggiore competitività al nostro sistema Paese.
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