Barbara Mazzolai è una ricercatrice toscana ed è considerata tra le donne più geniali nel mondo della robotica, ha studiato i robot prendendo ispirazione dalla natura e ha dato vita al progetto “Plantoide”
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di Ilaria Galateria
Nella squadra degli Archimede italiani figurano tante donne. innovatrici, inventrici creative di nuove tecnologie che stanno cambiando e migliorando il modo di produrre e la qualità della nostra vita. Giovani di talento accomunate da grande determinazione, intuito, cervello, studio, fatica ma, soprattutto, dalla curiosità di andare oltre.
Fra queste Barbara Mazzolai, coordinatrice tra l’altro del Centro di Micro Bio-Robotica a Pontedera (Pisa) e dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, che è stata indicata da RoboHub, la più importante comunità scientifica online di esperti di robotica, tra le venticinque donne “geniali” in questo campo. La ricercatrice toscana ha studiato, coordinato e concepito il progetto finanziato dalla Commissione Europea per la realizzazione dei cosiddetti “plantoidi”, robot che riproducono il sistema di propagazione delle radici vegetali per studiare con più facilità il sottosuolo. Per la prima volta, quindi, la robotica prende ispirazione dalla natura, dalle piante.
Barbara Mazzolai: Il percorso nella ricerca sui robot nasce in modo articolato. In realtà sono una biologa marina e ho sempre avuto un forte interesse per la conservazione dell’ambiente e per l’impatto degli inquinanti sulla salute dell’uomo. Per questo ho conseguito un master in gestione ambientale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Per la robotica, sono partita dallo studio della sensoristica e in seguito dello sviluppo di reti di sensori e di robot per il monitoraggio dell’ambiente e per il miglioramento della qualità della vita. E con la robotica cosiddetta “bioispirata” (ossia che unisce biologia e ingegneria), o robotica soft, che prende esempio dalla natura, ho iniziato a sviluppare tecnologie che fossero fuori dal contesto rigidamente regolamentato delle macchine industriali.
Il mio primo progetto di robotica di servizio è del 2006 con “DustBot”, un robot-spazzino nato per il monitoraggio e il miglioramento dell’igiene urbana concepito per la raccolta differenziata. Questo è stato il primo esempio di robot sviluppato per unire l’aspetto ambientale, la robotica e la sensoristica.
Barbara Mazzolai: Certamente. E infatti “Plantoide”, il primo progetto a livello mondiale che ha preso le piante come modello di studio, è stato un grande successo. Normalmente nella biorobotica i modelli sono i batteri e gli animali dei quali si studiano il movimento, la comunicazione e la sensoristica. Nell’opinione comune le piante non sono dotate di queste caratteristiche. Il progetto invece ha dimostrato che, partendo da principi importanti della robotica come la capacità di movimento e la percezione di attuazione, tutto ciò avviene, in maniera diversa e generando tecnologie nuove, anche nelle piante.
Barbara Mazzolai: È come una pianta. Simile a un bonsai hi-tech. È formato da un tronco creato con la stampante 3D, che custodisce la parte elettronica della macchina e un rocchetto di Pla, un materiale termoplastico normalmente impiegato nei processi industriali di stampa 3D; da foglie che si aprono e chiudono a seconda dell’umidità dell’aria e da radici, il vero punto di forza, ciascuna dotata di cinque sensori: di gravità, che indicano al robot come spostarsi; di umidità, per individuare la presenza di acqua; tattili, che gli consentono di evitare gli ostacoli; chimici per rilevare i nutrienti nel terreno e, in ultimo, di temperatura.
Le applicazioni del robot possono essere molte. È stato concepito principalmente per il monitoraggio del suolo, per conoscerne la qualità, per la ricerca di acqua, per segnalare la presenza di azoto, di fosforo o di altro agente inquinante.
Le braccia del plantoide sono in grado di allungarsi in risposta agli stimoli esterni. Questo aspetto risulta molto importante perché consente alla punta, come fanno le radici vere, di spingersi nel suolo riducendo le pressioni e gli attriti e, dunque, evitare gli ostacoli.
Barbara Mazzolai: Ad esempio nelle missioni di salvataggio in zone colpite da terremoti o altre catastrofi ambientali, come ad esempio è accaduto nel grave disastro radioattivo della centrale nucleare di Fukushima, in Giappone, dove i robot sono andati alla ricerca delle sostanze nocive.
Nel futuro, e forse questo è l’aspetto più difficile, si potrebbe prevedere l’applicazione e l’utilizzo del “Plantoide” in ambito medico. Grazie alla sua capacità di allungamento e di flessibilità, ci è stato richiesto di utilizzarlo per creare moderni endoscopi in grado di diminuire l’attrito e la pressione incontrati nel corpo umano. Tutto ciò comporterebbe esami meno invasivi e dolorosi senza alcun pericolo di danneggiare i tessuti.
Barbara Mazzolai: Sicuramente far “passare” lo scetticismo iniziale in quanto la pianta non era considerata un soggetto in robotica. Quando presentavo il prototipo, la prima risposta che mi veniva data era che in natura c’è già la talpa, un animale perfetto per l’esplorazione del suolo. La mia risposta era che la pianta , grazie alle molteplici radici comunicanti fra loro e dotate di più sensori degli animali, riusciva a creare una macchina eccellente per il monitoraggio dell’ambiente. La situazione per fortuna è cambiata con i primi risultati, le pubblicazioni. Ho ricevuto un importante finanziamento dalla Commissione Europea che ha creduto nel mio progetto, al quale hanno lavorato una quindicina tra studenti e dottorandi con le più svariate competenze.
Barbara Mazzolai: Una grande emozione. È stato difficile portare avanti idee in qualche modo rivoluzionarie e farle conoscere e apprezzare in poco tempo dalla comunità. La robotica è una delle perle del nostro Paese sia a livello di ricerca che industriale.
Barbara Mazzolai: Dipende dal settore. Nella robotica bioispirata, ma anche nella bioingegneria, ci sono molte donne. Il mio team, ad esempio, è al 50% femminile. Anche la donna è affascinata dall’aspetto scientifico, dall’applicazione medica, dalla biologia
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