Nuove pesanti accuse a carico del noto social network: dopo il grave scandalo di Cambridge Analytica, il gigante di Zuckerberg deve difendersi dalle accuse di spionaggio.
Dopo la presunta violazione del GDPR appena entrato in vigore, in questi giorni Facebook deve elaborare una difesa per quanto riguarda le nuove accuse di spionaggio dei suoi utenti: ancora una volta è Six4Three ad accusare pesantemente la creatura di Zuckerberg, presentando nuove prove nel procedimento giudiziario in corso da più di due anni tra le due parti.
Non è la prima volta che si torna su un argomento tanto scottante quanto inquietante, ovvero quello che vede Facebook protagonista di un morboso monitoraggio dei suoi iscritti per carpirne gusti, preferenze e necessità al fine di proporre inserzioni pubblicitarie a dir poco mirate.
Spesso si è parlato della possibilità che Facebook ascolti le conversazioni dei suoi utenti accedendo al microfono dello smartphone, riuscendo a spiare telefonate ma anche semplici conversazioni a voce: basta avere un device con un’app di Zuckerberg installata a portata di mano.
Sebbene siano in tanti a lamentare di curiose quanto fastidiose coincidenze sulla questione, avendo ritrovato pubblicità all’interno di Facebook su un servizio o prodotto poco dopo averne parlato, la società di Menlo Park ha più volte respinto le accuse affermando di non avere accesso ai microfoni degli smartphone.
Nonostante ciò, c’è chi ci riprova, ma stavolta (pare) fornendo prove pertinenti su questo tipo di pratica messa in atto da Facebook nel 2015, anno in cui furono modificate le condizioni di utilizzo nel tentativo di arginare i danni che stava creando l’applicazione di Alexander Kogan in collaborazione con Cambridge Analytica.
Questa volta, però, presso il Tribunale di San Mateo in California sono state consegnate prove non solo della consapevolezza di Facebook delle sue “falle” interne, ma anche di come il social network spingeva gli sviluppatori ad utilizzare il metodo di Kogan a proprio vantaggio, il tutto ai danni della privacy degli utenti.
Six4Three afferma che quando nel 2012 abbiamo assistito al sorpasso del mobile sull’utilizzo dei computer, Facebook ha costretto gli sviluppatori ad acquistare gli annunci della versione mobile, pena l’interruzione dell’accesso ai dati degli utenti.
L’ex start-up ha consegnato al tribunale i messaggi riservati scambiati tra i dirigenti di Facebook dell’epoca, e secondo alcuni anche lo scambio di e-mail che coinvolgevano lo stesso Zuckerberg in persona, che fino a domani resteranno sigillati ma che potranno essere resi pubblici in mancanza di opportuna richiesta da parte di Facebook.
In questi messaggi, Six4Three sostiene l’evidenza di prove schiaccianti riguardo pratiche scorrette ed illegali da parte di Facebook come:
Premesso che Facebook ha già ammesso in parte di aver sfruttato l’accesso ed il monitoraggio di SMS e telefonate, ma solo dietro consenso degli utenti, Six4Three rincara la dose affermando che la compagnia di Zuckerberg ha abusato di questa pratica anche in assenza di esplicito consenso da parte dell’interessato.
Inoltre, aggiunge che da sempre Facebook ha libero accesso a tutte le fotografie memorizzate all’interno dei dispositivi iPhone, attraverso la funzione di sincronizzazione del rullino di iOS con il social network, ma praticando un controllo e un’analisi delle foto scattate dagli utenti di Apple smisurati.
Ma chi c’è dietro le accuse a Facebook?
Six4Three era una startup che aveva investito 250 mila dollari nello sviluppo di un’applicazione chiamata Pikinis che, grazie alla vecchia politica di Facebook, riusciva ad accedere ai dati degli amici di chi la installava rilevando chi aveva foto in bikini e raccogliendo le suddette in album dedicati.
Six4Three ha accusato Facebook del suo fallimento, dopo aver modificato le regole di accesso ai dati degli utenti proprio in seguito al caso creato da Kogan, ed è già la sesta volta che trascina Facebook in tribunale.
Voglia di far emergere la verità, o soltanto pura vendetta?
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