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Dopo Skype translator non ci resta che pensare

di Marco Lombardo

Per carità, sai quanti problemi risolverà? Soprattutto a noi che non parliamo un inglese nativo, figli di una generazione dove a scuola l’apple era sempre on the table e, soprattutto, il massimo dei massimi era studiare come si remava bene nella Serpentine di Hyde Park. Insomma, l’annuncio di Satya Natella che presto Microsoft offrirà un servizio di traduzione simultanea nelle conversazioni di Skype è una di quelle cose che tecnologicamente rende il mondo più unito, ma che ha delle controindicazioni. Diciamolo: sta diventando tutto troppo facile, però come spesso accade non è colpa del mezzo (l’hi-tech) ma di chi lo usa. Perché parlare con tutto il mondo è assolutamente utile, parlare senza sforzo un po’ meno. L’interazione tra l’uomo e la macchina dalla fantascienza si sta spostando verso la realtà e il rischio è che un uso sempre più automatico del linguaggio allontani invece quella tra uomo e uomo. Negli ultimi anni, lo studio delle aziende sulla parola applicata alla programmazione sta diventando sempre più mirato: all’uso delle mani si sta sostituendo quello della parola, ma non è certo questo il male. L’ottimizzazione di Siri da parte di Apple, i progetti di Google di migliorare i nuovi sistemi di riconoscimento del linguaggio portano a un accrescimento nella vita quotidiana, così come dimostrò ad esempio tempo fa Panasonic, che organizzò a Berlino durante l’Ifa una dimostrazione su un concept di nuovo tipo di cucina: il modo di accendere, spegnere e programmare i vari elettrodomestici con un semplice comando vocale rendeva l’idea di quello che ci aspetta. E in questo caso, poi, bisogna cucinare e l’intervento dell’uomo resta basilare per la riuscita. Ecco: se si può fare un paragone, forse è questo il metro di giudizio che va utilizzato. Studiare le lingue per parlare con tutti è uno sforzo intellettuale che tiene impegnata la mente in qualcosa di positivo. Ottenere tutto troppo facilmente, invece, forse blocca alcuni meccanismi culturali di cui abbiamo bisogno e soprattutto fa svanire l’elemento principale della nostra vita: la curiosità. Come sempre, però, alla fine c’è il giusto mezzo: non è che tutti – ad esempio – debbano imparare il cinese e in questo caso un servizio come Skype translator potrà solo essere un aiuto importante. Però smettere di studiare perché una macchina lo fa per noi diventa un precedente pericoloso. In questo noi uomini di hi-tech dobbiamo farci delle domande e cercare delle risposte. Per evitare che un giorno, accendendo uno smartphone, finisca per spegnersi il cervello.


Dopo Skype translator non ci resta che pensare - Ultima modifica: 2014-07-07T08:00:13+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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