La vita e la memoria dopo Facebook. Questo non è un articolo sulla vicenda Cambridge Analytica, non è neanche un vademecum su cosa fare o meno per proteggere la propria privacy (anche perché in quel caso basterebbe un rigo: non condividere contenuti, dati e info che vogliamo restino privati).
Questa è una riflessione sul destino dei contenuti che pubblichiamo e soprattutto sul perché li condividiamo.
*di Emanuela Zaccone
Se avete uno di quei contatti che ha il bisogno compulsivo di condividere ogni momento della propria giornata su Facebook – al grido di “pic or it didn’t happen” – ma anche semplicemente se date un’occhiata ai vostri post, vi renderete conto che questi determinano la percezione che le persone hanno di noi online e contribuiscono a definire la nostra “reputazione digitale”.
La crescente rilevanza assunta dai contenuti effimeri – come le Instagram stories, con le loro 24 ore di persistenza – ha condotto a un ripensamento, in molti casi, dei contenuti che invece vogliamo restino visibili nel tempo.
In grossa sintesi, potremmo dire che affidiamo alle stories ciò che è “dimenticabile” e costruiamo invece timeline di memorie su Facebook.
La sedimentazione di questi ricordi nel tempo – di cui la sezione “Accadde oggi” è la perfetta sintesi, impacchettata e notificata quotidianamente all’utente – diventa la memoria condivisa delle nostre esperienze.
Una memoria collettiva, o meglio collettivizzata, resa pubblica (sia pure a un gruppo limitato di amici, se il settaggio della privacy dei contenuti è impostato come tale).
Abbiamo fatto tutti i compiti a casa, effettuato un backup dei dati – come consentito da Facebook – e quindi chiuso il profilo.
Che memoria rimane di noi?
La prima palese conseguenza è la perdita dei contatti: a meno che non abbiate salvato i loro numeri o non siate connessi su altre piattaforme o nella vita reale, quelle persone sono andate perdute.
Il secondo effetto è che dovrete chiedervi cosa volete fare di quei momenti che prima rendevate pubblici: ormai da parecchio si dice che sembra che se qualcosa non viene pubblicato sui social media allora non esiste. Talvolta lo si fa in chiave ironica, ma la verità è che troppo spesso si assiste a contenuti e momenti creati per essere condivisi sui social media, non catturati nel loro naturale accadere. Detta in parole semplici: se avete presente quelle poco credibili tavole da colazione da Instagram avete chiara la differenza tra autentico e creato artificialmente per i social.
Intendiamoci: non c’è nulla di male. Più volte su queste pagine ho chiaramente detto che è libera scelta di ciascuno condividere ciò che ritiene opportuno; trovo al contrario piuttosto fastidiosa la pletora di maestrini che decretano cosa sia tollerabile e cosa no, dato che ciascuno dispone di strumenti per controllare chi avere tra i propri amici e di chi vedere o meno i contenuti.
Però il problema rimane: cosa ne sarebbe di quei momenti “facciamo un selfie che lo pubblico”?
I detrattori dei social media vi direbbero che finalmente vivrete la vita “vera” (…), in realtà a me interessa capire altro: dove andrà la memoria di quei momenti?
Quasi certamente resterà in cloud, dato che – almeno su smartphone – praticamente tutti disponiamo di sistemi di backup di foto e video.
E quei lunghi post di riflessione solo testuale? Forse troveranno spazio su altre piattaforme, forse torneranno a vivere solo nei luoghi a cui erano limitati prima dei social (circolo di amici, bar, ufficio), forse semplicemente saranno tenute riservate.
Arrivati a questo punto avrete probabilmente intuito che il vero obiettivo di questo articolo è farvi riflettere sul valore dei contenuti che pubblicate e sul motivo per cui lo fate: state affidando a una terza parte la memoria del vostro quotidiano e nel contempo la state usando per costruire relazioni, che a loro volta, sedimentandosi, diventeranno parte della memoria futura.
E no, un momento non ha più “valore” se condiviso su Facebook, soprattutto se il valore che gli accordate è banalmente legato al numero di like ricevuti (in questo caso allora cercavate gratificazione, non semplice condivisione).
Facebook è una banca di dati e memoria a portata di mano.
Pulite periodicamente la lista degli amici e considerate bene con chi volete condividere un contenuto. Le impostazioni della privacy sono a portata di tutti.
** Emanuela Zaccone: Digital Entrepreneur, co-founder e Marketing & Product Manager di TOK.tv. Ha oltre 10 anni di esperienza come consulente e docente in ambito social media analysis e strategy per grandi aziende, startup e università. È autrice di “Digital Entrepreneur: principi, pratiche e competenze per la propria startup” (Franco Angeli, 2016) e di “Social Media Monitoring: dalle conversazioni alla strategia” (Flaccovio, 2015).
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