Un nuovo tentativo del governo spagnolo per ottenere i fondi necessari alla copertura dell’aumento delle pensioni: si sta pensando alla “Google tax“, una tassa sui notevoli ricavi della compagnia di Mountain View e di tutti i giganti della tecnologia digitale.
Le pensioni sono un tema delicato molto a cuore dei cittadini che vedono ogni giorno un’instabilità preoccupante su quella che sarà la copertura previdenziale dei prossimi anni. Lo sappiamo molto bene in Italia, ma lo sanno anche gli spagnoli, il cui governo vuole aumentare le pensioni senza però attuare un ulteriore giro di vite sulla tassazione dei cittadini.
Dove trovare, quindi, i fondi per finanziare l’aumento delle pensioni?
È Roman Escolano, Ministro dell’Economia spagnolo, a fare un tentativo in una direzione non del tutto nuova: i fondi necessari a coprire l’aumento delle pensioni possono arrivare direttamente dalla tassazione dei colossi digitali.
Google in primis, ma anche Facebook ed Amazon, dunque: multinazionali che, in mancanza di una precisa regolamentazione, eludono il fisco per svariati miliardi di euro su scala globale.
In quest’ottica, l’esecutivo spagnolo vuole recuperare le perdite di un sistema fiscale europeo definito “obsoleto”, accelerando i tempi per quel che riguarda la regolamentazione almeno in territorio spagnolo.
Escolano mira ad ottenere presto un largo consenso da tutte le parti, sia dalla maggioranza che dall’opposizione, per presentare la proposta alla Commissione Europea, ed approfittare dei ricavi dalla tassa su Google e similari per raggiungere i 3.3 miliardi di euro necessari per soddisfare l’aumento delle pensioni.
Quel che è certo, è che soltanto l’imposta sulle multinazionali digitali da sola non può bastare a pagare l’aumento delle pensioni spagnole, ma il ministro si dice comunque fiducioso sulla base della costante crescita del PIL.
La proposta di Escolano arriva in risposta al mancato accordo dell’Ecofin, il Consiglio costituito dai ministri dell’economia e delle finanze di tutti gli Stati che fanno parte dell’Unione europea.
Sebbene la web tax sia un’aliquota molto dibattuta e da molti sostenuta poiché indirizzata alle grandi compagnie con un fatturato da capogiro che supera i 750 milioni di euro nel mondo e i 50 milioni nell’UE, soltanto Francia, Italia, Portogallo, Slovacchia, Bulgaria e Polonia, oltre alla Spagna, si sono dichiarate sostenitrici della tassa europea, mentre Irlanda e Lussemburgo frenano poiché rappresentano da sempre mercati appetibili per i giganti digitali americani con politiche fiscali largamente convenienti.
Si aggiunge il Regno Unito – una volta a favore della tassa – nelle fila dell’opposizione, e la Germania continua a non dare un’idea chiara delle proprie posizioni.
In conclusione, nonostante la web tax rappresenti una giustizia fiscale nei confronti delle aziende tradizionali che versano regolarmente le tasse, in Europa c’è ancora molta strada da fare per giungere ad un accordo comune.
Incoraggiante contropiede di Madrid, quindi?
Non si direbbe, dal momento che l’entusiasmo del Ministro dell’Economia va per forza di cose a scontrarsi con la dura realtà: oltre alle dovute verifiche di fattibilità della manovra, infatti, va considerato un quadro dell’economia spagnola alquanto instabile, seppur in crescita, e la necessaria approvazione da parte della Commissione Europea, che sta già lavorando ad una soluzione collettiva per la questione.
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