Ridurre gli spostamenti e i conseguenti rischi di circolazione e contagio da coronavirus con il ritorno allo smart working. Questo uno degli obiettivi del governo. E se per i dipendenti della pubblica amministrazione sarà un’intervento mirato, per le aziende private si tratta di una raccomandazione. Da settembre per i dipendenti pubblici era iniziato il rientro e le attività da svolgere in remoto si fermavano al 50% del personale, dove compatibile con il tipo di mansione svolta. Nel nuovo DPCM viene stabilito che nella Pubblica Amministrazione il 75% dovrà lavorare in smart working. Vengono vietate, sempre nella PA, le riunioni in presenza, a me che non ci sia una vera necessità. Mentre lo smart working nel privato e fortemente raccomandato, ma rimane una facoltà non un obbligo.
La proposta è arrivata dal l ministro Speranza, secondo il quale servirebbe un “ampliamento dello smart working al 75%“. Ora si tratta dunque di una misura inserita nel DPCM. Gli interventi organizzativi apportati durante la scorsa primavera hanno infatti consentito di testare la macchina organizzativa della pubblica amministrazione, peraltro con buoni risultati.
La finalità è di fatto duplice. Da una parte la necessità di ridurre le presenze all’interno degli uffici, ove non sempre il distanziamento è possibile e dove si addenserebbero i punti di rischio potenziale sia per i lavoratori che per i cittadini allo sportello. Dall’altra quella di alleggerire gli spostamenti sui mezzi pubblici, altra evidente grave difficoltà che si dovrà affrontare nei mesi a venire.
Un tema che sarà affrontato già nelle prossime ore e il testo sarà discusso presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per cui entrerà tra le misure di contenimento del contagio previste nel DPCM in uscita.
Un altro tema di cui si sta discutendo in parallelo solo le normative di controllo sullo smart working. A controllare, insomma, che il dipendente passi veramente le sue otto ore davanti al computer e non approfitti della situazione per fare i propri comodi. Viceversa, va garantito al lavoratore il diritto alla disconnessione, per evitare che gli venga chiesto di essere a disposizione sempre e a qualunque ora.
A tal proposito, è previsto un disegno di legge collegato alla manovra di Bilancio per il 2021 con “disposizioni in materia di lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni“, dove si vorrebbe che nel 2021 lavorasse da casa il 60% dei dipendenti per le attività che possono essere svolte da remoto.
Per quanto riguarda le verifiche, oggi è vietato utilizzare qualsiasi tipo di strumento che consenta il controllo a distanza dei lavoratori, ad eccezione degli strumenti di lavoro o dei dispositivi autorizzati dagli accordi sindacali o dall’Ispettorato del lavoro. Ad esempio, la videochiamata può essere utilizzata solo come “strumento utilizzato dal lavoratore per rendere la prestazione“. Da evitare anche l’uso del meccanismo inserito nei software aziendali che avvisa con una sorta di alert colorato sulla presenza del dipendente davanti al computer o sul collegamento alla rete dell’azienda. Anche tecnologie quali braccialetti intelligenti o occhiali Gps (già presenti in alcune aziende) non possono essere utilizzati come strumenti di controllo. Più plausibile invece l’uso della chat di WhatsApp dove si può rispondere da qualunque posto con il proprio smartphone.
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