Dall’Università di Harvard arriva uno studio attuale a cui si deve concedere un occhio riguardo. Ovvero quello dell’esistenza di una correlazione diretta tra l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico e un tasso di mortalità per coronavirus più elevato. La morte per coronavirus secondo questo studio di Harvard confermerebbe un legame statistico tra i decessi e l’inquinamento atmosferico. Qualcosa che i funzionari della sanità pubblica e gli ambientalisti avevano già ipotizzato. Rapporto, firmato da cinque ricercatori del Dipartimento di Biostatistica dell’Università presentato al New England Journal of Medicine per la revisione.
Lo sfondo dello studio afferma che la maggior parte delle condizioni preesistenti, le quali aumentano il rischio di morte per coronavirus, sono le stesse malattie che sono interessate dall’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico. Hanno studiato se l’esposizione media a lungo termine al particolato fine, causata da combustibili fossili e dalle emissioni dei veicoli, aumenti il rischio di decessi COVID-19 negli Stati Uniti.
I ricercatori hanno raccolto dati per circa 3.000 contee statunitensi (98% della popolazione) per 17 anni, fino al 4 aprile 2020. I ricercatori si sono adeguati per altri fattori che influenzano risultati sulla salute come povertà, obesità, fumo e densità di popolazione.
Un aumento di un microgrammo di particolato fine per metro cubo è associato ad un aumento del 15% del tasso di mortalità per coronavirus. La respirazione di polveri sottili danneggia i polmoni nel tempo, rendendo più difficile per il corpo combattere le infezioni respiratorie.
“Un piccolo aumento dell’esposizione a lungo termine a PM2,5 [particolato fine] porta ad un grande aumento del tasso di mortalità COVID-19, con l’entità di un aumento di 20 volte rispetto a PM2,5 e tutto- causare mortalità. I risultati dello studio sottolineano l’importanza di continuare ad applicare le normative esistenti sull’inquinamento atmosferico per proteggere la salute umana sia durante che dopo la crisi COVID-19“.
In Italia sta facendo molto discutere anche l’ipotesi che l’inquinamento atmosferico possa fare da “acceleratore” della pandemia. L”ha avanzata un gruppo di ricercatori della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) e dalle Università di Bologna e di Bari. Il gruppo di scienziati ha notato una correlazione statistica tra velocità di trasmissione del contagio e concentrazione di particolato in alcune aree della pianura Padana. Ha ipotizzato perciò che il virus possa “viaggiare nell’aria” legato alle polveri sottili contagiando a distanze superiori agli uno-due metri. L’ipotesi è ora al vaglio di una Task Force di 23 scienziati su incarico della Commissione Europea.
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