Questo è il tema della 13° edizione del Global Innovation Index, la ricerca condotta da Cornell University, Insead e World Intellectual Property Organization (WIPO)
La domanda nasce dall’osservazione di uno scenario in rapido cambiamento: se negli ultimi anni l’economia globale era ancora in una fase di faticosa ripresa dalla crisi del 2008, si stavano però osservando segnali positivi nei valori della spesa media per l’innovazione in tutto il mondo. Tutto questo prima dell’emergenza sanitaria e delle sue devastanti conseguenze economiche. Quale impatto avrà questa nuova crisi sull’innovazione? È ancora presto per dirlo visto che i dati effettivi non saranno disponibili fino all’inizio del 2022, si avverte nel report, ma la speranza è che gli investimenti non calino bruscamente. La pandemia non ha infatti cambiato l’immenso potenziale che l’innovazione esercita sulla società.
Ora più che mai, realizzarla è una priorità fondamentale nel percorso di sviluppo e progresso di ciascuna nazione e per farlo, si sottolinea ancora nel GII (Global Innovation Index), è necessario porre tutte le basi per un sistema in grado di bilanciare gli input dell’innovazione, ossia le forze che spingono la creazione di conoscenza, l’esplorazione e gli investimenti con i risultati dell’innovazione, ossia le forze che spingono le idee e le tecnologie verso l’applicazione, lo sfruttamento e l’impatto.
Prendendo in considerazione questi indicatori il GII 2020 fotografa lo stato dell’innovazione di 131 economie, che rappresentano il 93,5% della popolazione e il 97,4% del PIL mondiale.
La classifica continua a essere guidata da Svizzera (al primo posto per il decimo anno consecutivo), Svezia e Stati Uniti, seguite da Regno Unito e Paesi Bassi. Per la prima volta una seconda economia asiatica, la Repubblica di Corea, entra nella top 10, accanto a Singapore. Nella top 25, si segnalano il balzo di quattro posizioni della Francia (al 12° posto), l’undicesimo posto di Hong Kong (Cina) e il ritorno dell’Austria che si piazza al 19° posto. Nonostante un certo recupero permangono comunque le divisioni regionali, con Nord America ed Europa ancora in testa, seguiti dal Sud-est asiatico, dall’Asia orientale e dall’Oceania; più distanti Nord Africa, Asia occidentale, America Latina, Asia centrale e meridionale e infine Africa subsahariana. La Cina, al 14° posto, è l’unica economia a reddito medio tra i primi 30 GII. La Malesia (33°) è la seconda economia a reddito medio più innovativa; India (48°) e Filippine (50°) entrano per la prima volta tra i primi 50, mentre il Vietnam è al 42° posto per il secondo anno consecutivo. Sono proprio questi paesi ad aver registrato i maggiori progressi negli ultimi anni, contribuendo a spostare la geografia dell’innovazione verso est.
L’Italia guadagna due posizioni rispetto allo scorso anno e si piazza al 28° posto. A frenare l’innovazione del nostro paese sono le performance negative di alcuni indicatori come la “market sophistication” per cui siamo solo 50° (ben 74° per credito e investimenti) e le istituzioni per cui siamo al 37° posto (spicca il 76° posto per quanto riguarda la facilità di avviare un’impresa). Altro tasto dolente è la spesa per l’educazione che ci vede addirittura 80°. I nostri maggiori punti di forza sono le infrastrutture (19° posizione), i Knowledge/Technology outputs (18°) e il fronte creatività (“creative outputs”) in cui ci posizioniamo 27°.
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