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Giappone: uomini e robot, la convivenza è vicina

Una volta sceso dall’aereo dopo tante ore di viaggio e raggiunto l’estremo Oriente, una figura autoctona, dai lineamenti semplici, con un bel sorriso e gli occhi a mandorla mi dà il benvenuto: “Yokoso” sono nel paese del Sol Levante. Piccolo particolare: la ragazza è un robot dalle parvenze umane che, immobile all’uscita del gate, con le mani incrociate e un inchino appena accennato, accoglie gli stranieri, come me, venuti da lontano. L’idea che si ha è quella di essere atterrati su un altro pianeta dove anche i robot prendono parte come tutti noi alla vita quotidiana ed è proprio questo forse l’obiettivo del Giappone in un prossimo futuro. Robot che parlano, ballano, saltano, giocano a ping pong, a baseball, preparano il bucato, fanno da mangiare.
Ogni anno gli scienziati giapponesi rivelano nuovi modelli sempre più all’avanguardia e soprattutto sempre più umani (hitogata robotto). La presentazione di tali prototipi, nonostante fallisca spesso nella loro mercificazione in prodotti di massa (causa costi di produzione altissimi), ha come risultato quello di: creare pressione su gli altri paesi competitor; mostrare al mondo le migliorie in ambito tecnologico; favorire l’immagine del Giappone come strettamente legata a quella dei robot, una sorta di soft power.


I robot umanizzati

Il Giappone ha detenuto il primato mondiale nella produzione di robot per lunghi anni (scavalcato solo di recente dalla Cina). Secondo la Japan Robot Association (Jara) sono 127,305 le unità prodotte in Giappone nel 2014 (+30.5% rispetto al 2013) con un valore complessivo di circa 500 miliardi di Yen ($4 miliardi).
Tali cifre sono destinate a salire. La produzione si divide principalmente in due settori: quello industriale, il più importante per grandezza, impiegato in campo automobilistico e nella costruzione di macchinari e componenti elettronici e quello di consumo e servizi che rappresenta sì una fetta minore ma che è in costante evoluzione.
È proprio in questo secondo campo che a giugno il colosso Softbank ha svelato al pubblico Pepper, un robot sviluppato per vivere con le persone.
Capace non solo di leggere le emozioni umane ma di generarne di proprie, il robot è in vendita al prezzo di 198.000 Yen (1.500 euro circa) ed è destinato a diventare uno spartiacque in questo mercato proprio per il prezzo non esagerato (le prime 1,000 unità sono state vendute in un solo minuto il 20 giugno scorso). Pepper è un altro prototipo che si aggiunge a una ormai lunga lista di robot umanizzati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da Asimo, il robot astronauta che corre e salta (Honda, 2000), al cucciolo di leone marino Paro (Aist, 2001), dal robottino giallo da compagnia Wakamaru (Mitsubishi, 2005) al robot violinista (Toyota, 2007) e così via. L’interesse verso i robot in Giappone viene spesso collegato alla cultura “shinto”, la credenza autoctona che vede in ogni oggetto anche inanimato un’essenza vitale capace di coesistere con l’uomo e all’influenza esercitata dei protagonisti mezzi uomini mezzi macchine di manga ed anime nell’immaginario popolare.
Da Astroboy a Mazinger, fino a Gundam, la creazione di protagonisti androidi in lotta contro il male capaci di emozioni e sentimenti ha, attraverso i media, influenzato diverse generazioni di giapponesi sin dagli anni ‘50, implicando l’immagine del robot spesso come figura benevole e utile alla società piuttosto che intesa come una minaccia. Tuttavia la creazione di robot in Giappone è dovuta da ragioni ben più pratiche.
La prima è la fiducia nella tecnologia intesa come mezzo capace di ridurre sprechi e minimizzare i costi di produzione che sin dagli anni ‘60 ha caratterizzato le grandi industrie giapponesi; la seconda è determinata dal costante aumento di anziani e la diminuzione dei giovani dovuta al bassissimo tasso di natalità (1,2%), il cui effetto in futuro sarà quello della mancanza di forza lavoro. Essa potrà essere così sostituita da umanoidi in grado di intrattenere gli anziani e lavorare nelle aziende al posto di operai e impiegati. Ma non solo, anche in caso di calamità e disastri ambientali (non rari in Giappone) i robot possono essere di utilità.

Toshiba e Hitachi, per esempio, hanno già impiegato modelli nell’impianto nucleare di Fukushima per operazioni di pulizia e monitoraggio. Un tentativo ufficiale per spiegare l’entrata in scena dei robot nella società è stato fatto anche in occasione della fiera internazionale a Fukuoka nel 2004 con la proclamazione del World Robot Declaration: “Certi dei contributi che i robot potranno conferire all’umanità, affermiamo che la prossima generazione sarà partner degli uomini, gli assisteranno sia fisicamente sia psicologicamente per la realizzazione di una società sicura e pacifica”.
L’immagine che vede uomini e robot coesistere armoniosamente è ancora work in progress e l’umanoide incontrato all’aeroporto è più un tentativo di national branding piuttosto che un impiego efficace delle potenzialità robotiche. Detto questo, il Giappone è uno dei pochi paesi dove tale immaginario sembra essere a pochi passi dall’avverarsi. Intanto ad agosto è stato inaugurato il primo robot-hotel a Nagasaki (hotel gestito da uno staff di robot) mentre le banche Mitsubishi e Mizuho hanno già impiegato androidi nei loro customer service nelle sedi di Tokyo.

dal nostro corrispondente da Tokyo Manuel Maiorelli*

 

 

*Nato in un piccolo paese dell’Emilia scopre l’Oriente attraverso la lettura dei grandi viaggiatori del passato. Cercando di seguirne i passi si laurea in Lingue e Culture dell’Asia. Dopo tante avventure nel continente asiatico e attirato dall’intreccio armonioso tra tecnologia, modernità e tradizione si ferma nella punta più estrema d’Oriente: il Giappone.


Giappone: uomini e robot, la convivenza è vicina - Ultima modifica: 2015-12-26T19:09:30+00:00 da Francesco Marino

Giornalista esperto di tecnologia, da oltre 20 anni si occupa di innovazione, mondo digitale, hardware, software e social. È stato direttore editoriale della rivista scientifica Newton e ha lavorato per 11 anni al Gruppo Sole 24 Ore. È il fondatore e direttore responsabile di Digitalic

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