C’è qualcosa di rassicurante nei dati, guardarli e prendere una decisione sulla base di quello che dicono sembra meno pesante, si sente meno la responsabilità, “se lo dicono i dati” si pensa, non posso fare diversamente.
I dati sono seducenti, come il profumo di qualcosa di familiare; sembrano innocui, come una merendina per la scuola. Ci si culla nel loro abbraccio rassicurante, e ci si sente un po’ più deresponsabilizzati.
Ma questo è l’errore più pericoloso che si possa commettere, anche quando le informazioni e le analisi indicano una direzione chiara da seguire la responsabilità è sempre (e sarà sempre) la nostra.
Tra le poche cose che un computer non può fare c’è quella di avere una morale, una coscienza.
Se ci si lascia sedurre dal profumo dei dati si finirà per seguirlo ovunque come Poldo insegue il profumo dei panini nei fumetti, esponendosi (proprio come Poldo) a grandi rischi senza accorgersene.
Prima di Poldo forse ci è passato Ulisse con le sirene, subendo il fascino di un richiamo irresistibile verso un’isola in cui sentirsi senza responsabilità.I dati, in sé, non hanno alcuna volontà di irretire l’uomo, è semmai la nostra pigrizia a farlo, il desiderio di stare comodi e di non fare fatica.
Avere una coscienza e una morale è una delle cose più faticose, decidere anche contro l’evidenza dei dati è un atto in cui ci si prende completamente le proprie responsabilità.
Dovrebbero investire sui Big Data solo quelle persone e quelle aziende che saranno in grado anche di decidere in maniera contraria a quanto appare dalle analisi digitali, altrimenti il mondo e l’economia che ci attende sarà quella dei “Poldo”, di persone incapaci di avere una propria idea, che seguono senza alcuno spirito critico quello che qualcun altro (o qualcos’altro) ha indicato per loro.
È difficile resistere a questa tentazione “datacentrica”, come è difficile non annusare a pieni polmoni il profumo della nostra copertina odorosa. Strofinatela e provate a resistere… impossibile vero?
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