“Credo in Dio, tutti gli altri portino dei dati”.
William Edwards Deming lo diceva nel 1947 quando ha rilanciato con le sue idee l’economia giapponese messa in ginocchio dalla guerra.
Il mondo ha impiegato più di 70 anni per convincersene, ma oggi possiamo dire che tutti siano d’accordo con Deming.
I dati vengono visti come degli oggetti magici, da osservare per ricavarne delle indicazioni, anzi come delle sfere magiche in cui scorgere le previsioni per il futuro.
Per questo abbiamo scelto di rappresentare i Big data come un oracolo, un monaco, un sacerdote della verità digitale in una copertina che richiama le antiche religioni e le più moderne tecnologie, che a volte vengono vissute come un credo.
I dati però non sono oggetti magici, talismani con poteri sovraumani, i dati sono un percorso. Non è importante solo possederli e interrogarli; è indispensabile anche saperli raccogliere, conservarli, sceglierli, visualizzarli, comprenderli, valutarli e infine trarne delle indicazioni, che solo la decisione umana può rendere davvero utile a qualcosa.
Il dato va visto in tutto il suo ciclo di vita per poter essere messo al centro delle imprese, delle istituzioni, delle decisioni e quindi della vita delle persone, altrimenti si costruisce una gigantesca casa sulla sabbia, un colosso dai piedi d’argilla, si crea una nuova divinità pagana. Occorre grande consapevolezza prima ancora che una grande tecnologia.
Ha detto Edsger Dijkstra, informatico olandese vincitore del premio Turing: “Possa ciascuno di voi, avere successo nel trasformare le informazioni in conoscenza, la conoscenza in comprensione e la comprensione in saggezza”.
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