Francesca Pedrazzi, Digital Marketing Manager per gli Stati Uniti di Tod’s, ci racconta le strategie digitali di un brand di alta gamma come Tod’s
di Clara Ramazzotti, corrispondente da New York (Usa)
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Incontriamo Francesca Pedrazzi nella zona di Chelsea, a New York. Non un punto a caso della città: l’area è presidio Google da alcuni anni e intorno si sono sviluppate agenzie creative e startup in diretta collaborazione con il colosso e non solo. Il Meatpacking ha un risvolto fashion-oriented ed è diventato letteralmente la vetrina per i brand di lusso (moda, design, arte) e mensilmente pop-up store aprono al pubblico e fanno promozione. Tod’s ha i suoi uffici proprio qui e da maggio 2018 Francesca ne è la Digital Marketing Manager per gli Stati Uniti.
Tutto il mio percorso è iniziato da un blog nel 2008, quando eravamo davvero in pochi a parlare di stile e lusso su un contenitore digitale. All’epoca essere sui social media per un brand luxury era complesso, era percepito come uno snaturamento della propria esclusività. I social sono nati con valori esattamente opposti a un brand che ha nel proprio DNA tradizione artigianale e eccellenza nello stile perché da un lato abbiamo l’apertura estrema a tutto e a tutti, dall’altro la necessità di raccontare un prodotto unico, che non può essere produzione di massa. Digitale e lusso non viaggiavano sulla stessa linea d’onda.
Qualche anno fa parlare di digitale equivaleva a lavorare solo su Crm, e-mail marketing e newsletter. Il media poteva essere poco innovativo, contenuti bellissimi ma senza un obiettivo strategico di ampio respiro, quindi c’era – e a volte c’è ancora – una corsa allo stupire, al fare qualcosa di pazzesco ogni anno, che però non si concretizzava in campagne digital durature e in un uso a 360 gradi dei canali. Adesso si è capito che non c’è da aver paura ad allentare un po’ le linee guida in ottica di miglioramento: a cominciare dal linguaggio fino alla parte creativa. Oggi vedo meno rigidità nei brand moda e beauty e più apertura verso il cliente finale che, soprattutto sugli store online, ha bisogno di messaggi semplificati.
Inizialmente, tutto quello su cui potevi lavorare si trovava già sul piatto. La voglia di sperimentare certamente non manca nell’ambito moda, ma non è arrivata subito nel digitale. Prima di tutto è servito far notare che non si può essere generici: mandare messaggi unificati per l’Italia, per la Cina, per gli Stati Uniti è un inciampo.
La difficoltà sta nello studiare il periodo commerciale del Paese e seguirlo senza perdere il proprio tono di voce e il modo in cui il brand si presenta. Questo si nota moltissimo nell’e-commerce, ma anche nella banalità di alcuni post che su un mercato non funzionano. Il marchio non deve cambiare sé stesso in base al Paese a cui si rivolge, ma deve parlare la sua lingua, conoscere le sue dinamiche.
Io sono arrivata a New York per sviluppare un team dedicato al digital che fosse anche un anello di congiunzione, un ponte tra questa country e l’Europa, per fare in modo che Tod’s America e Tod’s Italia dialoghino non solo nel retail, ma anche nella comunicazione e nella gestione degli store online.
Lavoriamo anche su Hogan e Roger Vivier seppure con pesi molto diversi. Credo che per nessun brand sia facile rendersi conto che è necessaria una presenza locale, perché si tende a pensare che basti un messaggio universale, a reti unificate, per raccontare un marchio. Non necessariamente sono d’accordo. Bisogna avere il polso sul mercato.
Ci allineiamo il più possibile con il retail, soprattutto in periodo di saldi, non offriamo scontistica a macchia d’olio, ma puntiamo su promozioni più eque per il brand. Qui funzionano benissimo i “gift with purchase” [prodotti regalati o scontati in cambio di un acquisto, nda].
E resta imprescindibile che, a fronte di un punto prezzo di un certo tipo, il cliente abbia la certezza di un prodotto con alle spalle artigianalità e valore che cresceranno nel tempo. L’approccio americano è diverso, di solito: messaggi più diretti e centrati sulla vendita, prezzi in primo piano, linguaggio più commerciale. Parte del lavoro è avere equilibrio tra le due anime dei Paesi.
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