Dopo l’introduzione del nuovo sistema operativo made in Apple, la casa di Cupertino detta nuove regole per le applicazioni ammesse nel suo App Store: bandite quelle che minano le criptomonete.
Che quest’anno gli amanti delle criptomonete avrebbero avuto vita dura si era capito già da quando Facebook e Google avevano deciso di rendere le cose difficili ai minatori digitali, e dopo il blocco delle estensioni di Chrome che minavano criptovalute, è il momento di Apple e della sua mossa nella medesima direzione.
Dopo aver presentato le novità che riguarderanno i nuovi sistemi operativi della compagnia californiana, è stata avvistata una imponente modifica anche nel regolamento per l’ammissione delle applicazioni nell’App Store.
Di fatto, Apple non ha come obiettivo quello di affondare in maniera esclusiva le applicazioni che si occupano di produzione di criptomonete, ma di certo i software in questione sono inclusi nel discorso e il loro funzionamento è addirittura regolamentato da una sezione appositamente dedicata.
Sul sito ufficiale è possibile leggere la nuova normativa a tal proposito che verte su alcuni punti fondamentali come:
In sintesi, Apple continuerà a tollerare l’esistenza e la gestione di applicazioni chiamate “wallet”, ovvero quelle che vengono utilizzate da quanti sono in possesso di criptomonete per le transazioni, o per custodirle in un salvadanaio virtuale. Tutto purché gli sviluppatori delle suddette siano iscritti come aziende.
Per quanto riguarda le attività di mining, che si occupano di generare criptomonete, Apple mette in chiaro che non possono essere utilizzate a meno che le operazioni non vengano eseguite in cloud e non sul dispositivo.
Inoltre, viene sottolineata l’importanza della liceità del pagamento in criptomonete tra le due parti tra cui avviene la transazione, e che l’app che si occupa di queste operazioni deve essere approvata da enti o istituzioni finanziarie.
Infine, vengono vietate le ricompense in criptovaluta per gli utenti che scaricano app specifiche, oppure che aumentano le pubblicazioni sui social network, ad esempio.
Le ragioni dietro questa mossa sembrerebbero essere in primo luogo legate a questioni di sicurezza: dal momento che per minare criptomonete è necessaria un’elevata potenza di calcolo dei dispositivi, l’eccessiva richiesta di risorse potrebbe seriamente danneggiare i terminali coinvolti nelle attività provocando surriscaldamenti che creerebbero problemi alle batterie accorciando sensibilmente la vita del dispositivo.
Del resto, la stessa Apple aveva in passato ammesso di rallentare volutamente le prestazioni dei dispositivi per preservare le batterie e rendere più longevi i suoi device, dimostrando particolare interesse per la salute dei suoi prodotti.
Un iPhone o un iPad da soli, comunque, non potrebbero minare le criptovalute, ma è necessario considerare che spesso lo sforzo di calcolo viene distribuito all’interno di una rete di device, e che includendo anche macOS nel discorso Apple vuole proteggere anche i computer prodotti dall’azienda, e non soltanto i device portatili.
Va comunque sottolineato che l’intento principale resta comunque quello di proteggere gli utenti da problemi indesiderati: molto spesso negli store digitali vengono introdotte applicazioni con uno scopo dichiarato, ma che una volta installate si occupano di attività in background come, appunto, la produzione di criptomonete.
Il tutto a volte all’insaputa degli utenti, ragion per cui Apple ha bandito anche le applicazioni che svolgono operazioni collaterali diverse da quelle del tema centrale del servizio.
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